RISPOSTA A MONDONI

I “NEGAZIONISTI” RINGRAZIANO.

       Crediamo che, tutto sommato, la prof. Rossana Mondoni, sacerdotessa del culto di  Graziano Udovisi (l’unico “sopravvissuto alle foibe”, non a caso da lei paragonato a Padre Pio) e autrice dell’ennesima intervista con l’anziano “combattente italiano al confine orientale” pubblicata in un libello a lui dedicato [Sopravvissuto alle foibe, Solfanelli 2009],  meriti da parte nostra un ringraziamento.

Certo non fanno piacere gli anatemi e le ingiurie che costei (come già fece celebrando Norma Cossetto)  continua a lanciare contro i “negazionisti”, affibbiando tale qualifica – appropriata per chi nega gli stermini nazisti – a chiunque osi mettere in dubbio il dogma del “genocidio degli italiani da parte degli slavo/comunisti” nelle terre contese alla fine della seconda guerra mondiale. In particolare, non sono gradevoli i suoi tentativi di esorcizzare le diaboliche contestazioni alle verità rivelate dal suo inconfutabile testimone,  peraltro senza avere neppure il coraggio di citare il titolo del libro [Pol Vice, LA FOIBA DEI MIRACOLI, indagine sul mito dei “sopravvissuti”, Kappa Vu, Udine 2008, frutto di una ricerca collettiva] in cui si dimostra la falsità di tali rivelazioni e si documentano puntualmente tutti i “passaggi” nella costruzione di quel mito, in cui certo la figura e i racconti di  Udovisi sono centrali, ma che va ben oltre le sue vicende personali,  coinvolgendo fin dall’inizio i massimi esponenti democristiani e della chiesa locale triestina impegnati a sostenere le rivendicazioni neo irredentiste italiane nella battaglia diplomatica al tavolo delle trattative di pace.

Infatti le prime palesi contraddizioni e falsità in questa storia risalgono al luglio 1945, quando fra Trieste (curia del vescovo Santin) e Roma (ufficio “I” dello Stato Maggiore del R. Esercito e Ministero per gli Affari Esteri) cominciarono a circolare in forma strettamente riservata ben tre diversi documenti con la “testimonianza di un sopravvissuto alla foiba”. In tutti la firma (sia pure storpiata) era di Giovanni Radeticchio, milite della Difesa Territoriale nella zona di Pola. In essi egli affermava di essersi salvato da solo, e che fra gli altri cinque gettati con lui nella foiba e deceduti c’era… Graziano Udovisi (allora giovane tenente dello stesso “3° reggimento Istria”). Ma il destino volle che quest’ultimo (noto collaborazionista dei nazisti e torturatore di partigiani) fosse  riconosciuto e arrestato un mese dopo a Padova, dov’era fuggito con documenti falsi. L’inattesa “resurrezione” fu la causa delle successive vicende e versioni della “testimonianza”, che dapprima fu pubblicata (il 16/1/1946) in forma rigorosamente anonima dall’organo della DC triestina “La Prora”,  poi fu “fatta propria” da Udovisi al processo che subì nel settembre successivo: solo allora i miracolati divennero due. Ma da quel momento entrambi scomparvero dalla scena: fra i due era sorta un’aspra discussione su “chi aveva salvato l’altro”, e ciò comprometteva irrimediabilmente la credibilità di entrambi. Da allora la storia del/dei sopravvissuto/-i fu gestita direttamente dagli organi politici (il M.A.E. sul piano diplomatico e riservato; il CNL Istria, il periodico “Difesa Adriatica” e altri su quello della propaganda). Così nacque il mito dei sopravvissuti, i cui sviluppi successivi (con altre “sorprese” e “diramazioni” piuttosto interessanti) sono puntualmente analizzati nel libro di Pol Vice.

Di tutto ciò Rossana Mondoni non fa alcun cenno; come non fa cenno a un’altra fondamentale conclusione della nostra indagine: la totale incompatibilità fra le caratteristiche della “foiba” inizialmente indicata quale teatro del dramma e la dinamica dei fatti come appare in qualunque “variante” della storia raccontata dai sedicenti “protagonisti”.

Invece, di fronte alle ulteriori incongruenze e contraddizioni dei “ricordi” che Udovisi (o chi per lui) ha ricominciato a sfornare in pubblico circa vent’anni fa, l’ineffabile maestra di storiografia si limita a sentenziare che “i vissuti sono soggettivi, viaggiano con le emozioni che traboccano”… e poi cita (?) nientemeno che “Sant’Agostino. L’anima… rivive gli eventi riplasmandoli… con l’autenticità e la freschezza che solo chi ha veramente vissuto quell’esperienza può fare”. Insomma l’attendibilità di un testimone sarebbe garantita dal livello di emotività (e di confusione) che esprime. Chi lo nega è un negazionista (allo stesso modo che chi non crede alla santità di padre Pio è un miscredente)!

Ma è proprio per questo che dobbiamo ringraziarla. La sua opera infatti dimostra senza ombra di dubbio che solo attraverso la Fede (quella religiosa, con la F maiuscola) si può continuare a credere  alle verità predicate da Udovisi su se stesso (e sulle vicende delle foibe, e su quelle dei confini orientali più in generale); e ciò a conferma che i risultati delle nostre ricerche non sono attaccabili sul piano razionale e storico.

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