SULLE TRACCE SANGUINOSE DEI FASCISTI ITALIANI

Mahmud Konjhodžic  “Krvavim tragovima talijanskih fašista”

Zagreb Vjesnik, 1945

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dal libro di Costantino Di Sante «ITALIANI SENZA ONORE» I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1945) – Ombre Corte 2005 alla pagina 33 si legge:

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dal libro di Gianni Oliva «SI AMMAZZA TROPPO POCO» I crimini di guerra italiani. 1940-43  –  Mondadori  2006 alle pagine 97-100 si legge:

Sulla base delle denunce raccolte dalla commissione di Stato di Belgrado e dalle varie sottocommissioni territoriali, all’inizio del 1946 viene compilato un libro propagandistico, “Sulle tracce sanguinose dei fascisti italiani”, ampiamente diffuso l’anno successivo dal governo di Tito. Corredato da numerose fotografie, il volume (che il nostro ministero degli Affari Esteri si affretta a far tradurre)  racconta le tappe di un viaggio attraverso il Montenegro, la Croazia e la Slovenia al seguito delle truppe del NOVIJ (l’esercito di liberazione titoista),durante il quale l’autore (anonimo) raccoglie testimonianze di superstiti.Il libro inizia con la descrizione di un paese militarizzato, dove le operedi fortificazione e gli apprestamenti difensivi dei reticolati disegnano un panorama inquietante: «I fascisti hanno costruito forti e bunker, scavato trincee, alzato fortificazioni. Non c’è muro, né cella, né alcun altro posto dove non venissero elevati dei muri e apprestate opere di difesa. A milioni sono stati consumati il cemento e la pietra per disseminare il nostro paese di luoghi fortificati. Essi hanno intrecciato chilometri di filo spinato in innumerevoli ordini di reticolato con cui hanno circondato i nostri paesi e le nostre città». Nel prosieguo delle pagine, si alternano immagini di paesi ridotti in cenere dalle fiamme,denunce di deportazioni, accuse di torture, di esecuzioni, di rapine ai danni dei civili: «Mi sono fermato davanti a una casa di contadini sulla strada di fronte alla piana di Grobno, dietro Sussak. Davanti alla portadi casa un gruppo di contadini parlava con la padrona. ‘Che cosa è quello laggiù?’, ho chiesto a uno dei contadini, guardando le rovine che nereggiavano nella pianura. ‘Il villaggio di Podhum’ mi disse meravigliandosi, forse, ch’io non lo sapessi. ‘Incendiato?’ chiesi. ‘Fino alle fondamenta’ confermò egli ‘oltre quattrocento case distrutte, e tutti i vigneti, i frutteti, i boschi intorno’. Dopo questo incontro proseguo verso nord, attraverso una serie di villaggi. Ovunque si vedono case incendiate; ovunque i contadini raccontano dei martirii sofferti, dellefucilazioni avvenute. Così – mi dicono – il 20 luglio 1942 gli italiani hanno circondato il villaggio di Cernik, sulla piana di Grobnik. Hanno cacciato dalle loro case cinque famiglie alle prime luci dell’alba,togliendo la gente dal letto, non permettendo loro di vestirsi, e l’hanno caricata su due camion: in uno hanno caricato gli uomini, nell’altro ledonne, i bambini e i vecchi. L’autocarro con gli uomini si è fermato poco dopo, ne hanno fatti scendere cinque e li hanno fucilati:l’autocarro con i famigliari dei fucilati si è invece diretto in Italia, verso un campo di internamento».Il racconto risente fortemente dell’intento propagandistico, sia nel linguaggio («ci si meraviglia di quegli elementi reazionari che oggi in Italia da colpevoli si trasformano in accusatori», scrive l’autore riferendosi alle denunce del governo di Roma per le vittime delle foibe), sia nelle quantificazioni («decine di migliaia di donne, bambinie uomini sono stati uccisi e fucilati dai fascisti italiani in Slovenia,Dalmazia, Montenegro, Lika, Erzegovina»), sia nell’approssimazione delle indicazioni geografiche e temporali. L’atmosfera di violenza che ne emerge non è tuttavia distante da quella descritta nel suo diario da don Brignoli: un esercito occupante, minacciato da una guerriglia aggressiva e ben organizzata e circondato da una popolazione civile ostile, reagisce con rastrellamenti e rappresaglie con l’obiettivo distabilire l’ordine. Le misure preventive, l’intimidazione, la punizione dei presunti colpevoli si mescolano in un’esibizione di forza dove le «regole» della guerra vengono meno e l’applicazione degli ordini superiori lascia ai subalterni ampi margini di arbitrarietà: come osserva don Brignoli, c’è chi cerca di difendersi dall’imbarbarimento e conserva senso della misura, c’è chi obbedisce in uno stato psicologico di passività obbediente e disarmata, e c’è chi viene invece coinvolto dalla logica perversa della violenza. L’esito è un livello di tensione sempre più alto, dove la paura e la rabbia rendono i comportamenti sempre più irrazionali e lontani dai valori nei quali ogni combattente è stato educato. Ne fornisce una testimonianza particolare Galeazzo Ciano, che Mussolini rimuove il 5 febbraio 1943 dall’incarico di ministro degli Esteri proponendogli, in cambio, la luogotenenza dell’Albania.Consapevole di quanto sta accadendo nei Balcani, Ciano annota nel suo diario: «Capisco le ragioni del Duce, le condivido, non intendo sollevare la minima eccezione. Ma tra le varie soluzioni personali che mi prospetta, scarto nettamente la Luogotenenza in Albania. Andrei a fare il fucilatore e l’impiccatore di coloro cui promisi fratellanza e paritàdi diritti».

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