RECENSIONE DELLO SPETTACOLO TEATRALE “FOIBE”, REGIA DI EMANUELA PETRONI SU TESTO DI GIULIANO TORREBRUNO

RECENSIONE DELLO SPETTACOLO TEATRALE “FOIBE”, REGIA DI EMANUELA PETRONI SU TESTO DI GIULIANO TORREBRUNO.

Sulla base del testo “Non se ne parla neppure” scritto nel 2004 dall’avvocato Giuliano Torrebruno (già difensore di Friedrich Schaudinn, condannato in via definitiva per la strage del rapido 904) la regista ed attrice Emanuela Petroni (che dal suo curriculum – basti vedere le foto ed i video in rete – sembra artisticamente portata piuttosto ad una sorta di porno-soft non si sa se ironico o autoreferenziale) ha pensato di portare sul palcoscenico questo “spettacolo” intitolato “Foibe”, sponsorizzato nella prima teatrale dal Comune di Rieti che l’ha addirittura proposto alle scuole il 10 febbraio del 2011.

All’inizio della piéce c’è un intervento di Andrea Ungari, storico della Luiss (l’università fondata da padre Felix Morlion), che dovrebbe dare una patente di serietà storica all’insieme.

Nulla di più sbagliato.

Tralasciando la recitazione (piuttosto scadente) e le improbabili evoluzioni di ginnastica ritmica inserite nell’insieme senza che se ne veda un motivo artistico reale, ma che sono questioni di gusto sulle quali non intendo intervenire, ciò che invece mi preme evidenziare sono i contenuti che vengono veicolati in un’ora circa di recitazione.

Il protagonista è Corrado, esule dall’Istria e “sopravvissuto all’infoibamento” (il come lo vedremo poi) che cerca di convincere una programmatrice Rai a produrre un documentario sulle foibe, nelle quali “centinaia forse migliaia” furono gettati, “alcuni ancora vivi altri agonizzanti”.

Ecco la prima bufala, che però il protagonista presenta alla conduttrice come la Verità che le vuole offrire, una Verità che non può “mitigare” nelle descrizioni la violenza, perché sarebbe un falsare la storia. E da qui le descrizioni, truculente quanto improbabili, di una violenza cui sarebbe stata sottoposta “dai titini” la “cameriera di una trattoria”, cui Angela, la fidanzata di Corrado avrebbe assistito affacciandosi “all’apertura di uno scantinato sulla strada” (una variante della storia di Norma Cossetto); di un dialogo tra “titini” che narrano di un “italiano” cui sarebbe stato data da mangiare la carne del figlio (una storia che veniva solitamente attribuita agli ustascia, se non vado errata); fino alla vicenda di Corrado, che qui riportiamo dal testo originale (reperibile in http://digilander.libero.it/lefoibe/operateatrale.htm ):

“La pistola era puntata alla mia tempia, al momento dello sparo mi spostai, come le dicevo, tremando, e fu Leonardo che si prese il colpo in pieno viso. Cademmo giù (…). Ero stato imbrattato dal sangue di Leonardo, viscido, denso, da brani di carne e pezzetti di ossa. (…) Eravamo stati sbattuti più volte sulle asperità della parete, non del tutto a piombo. La caduta fu attutita dai corpi di chi ci aveva preceduto, già tutti morti o agonizzanti, altri seguirono noi, quasi seppellendoci, ma mi lasciarono uno spiraglio attraverso il quale riuscivo a respirare. (…) Ero legato tanto strettamente a Leonardo (che) dovetti strappare a morsi parte del suo polso! Ho sentito il sapore della sua carne… mi sono sentito come quel padre, che mangiò suo figlio”.

Questo è puro grand guignol, ci consenta, Avvocato. Ma proseguiamo.

In sintesi il testo sostiene che le foibe furono rivolte contro gli “italiani” (ma “avrebbero potuto essere anche cinesi”) perché occupavano un territorio che serviva agli Jugoslavi; che negli anni la storiografia, la stampa, la politica, egemonizzate dalla sinistra, non si occuparono di queste tragedie perché non si poteva danneggiare Tito che aveva spostato la cortina di ferro lontano dai nostri confini, ed oggi non si può parlare di questi argomenti perché, come dice la programmatrice “Lei non sa quanto potere abbiano le sinistre in questo Paese, dagli intellettuali ai sindacati, a molte fasce alto borghesi. Non hanno digerito né la caduta del muro di Berlino né la normalizzazione della Cina, la base è più stalinista di Stalin, se vuole saperlo”.

La cosa più importante, ma forse non la più comprensibile dal pubblico, è la sviolinata che l’autore fa al personaggio Pititto, il magistrato che anche nella realtà condusse un’indagine sulle foibe rivelatasi peraltro un flop clamoroso, se vogliamo restare in gergo teatrale. Pititto dice che l’inchiesta non poté andare avanti per questioni giurisdizionali e che è stato inutile raccogliere tutto quel materiale, ma Corrado chiosa dicendo che le memorie e le testimonianze sono “elementi che hanno dignità processuale”, e “non è solo diritto, ma Storia, Verità, e perciò stesso speranza (sic: l’italiano è quello che è n.d.r)” e che “finalmente si capirà che chi è nelle foibe intralciava con la sua presenza un disegno criminale e sciagurato”.

Tesi fasciste, in effetti. Probabilmente non tutti gli “infoibati” erano fascisti, ma quelli che vogliono portare la Verità sulle foibe in certi modi sono fascisti, e ne scrivono ed agiscono di conseguenza. Altrimenti perché le organizzazioni di estrema destra andrebbero sulle foibe ad “onorare i caduti delle foibe” a suon di saluti romani? E perché si parla di foibe tirando fuori sempre le stesse falsità, le cifre gonfiate, pseudo testimonianze oculari che descrivono violenze cui non è credibile abbiano assistito, il dipingere i “titini” come feroci e barbari sadici che odiavano gli italiani; perché insistere nel vittimismo, anche questo tipicamente fascista, di una presunta egemonia culturale della sinistra, che solo perché ha vinto la guerra pretende di far passare la propria storia come storia definitiva, dando per assodato che è una storia falsificata, cosa che NON è, specifichiamo.

In effetti possiamo concordare con l’Autore quando fa esordire il protagonista in scena con queste parole: “è una storia di merda (…) la racconterò la mia storia, ma è una storia di merda”.

 

Lo spettacolo è visibile qui: http://www.youtube.com/watch?v=CNjqcfn6u_Y&feature=youtube_gdata_player

Claudia Cernigoi

Agosto 2012

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