GIORNO DEL RICORDO O GIORNO DELLA MISTIFICAZIONE STORICA?

di CLAUDIA CERNIGOI

Dopo avere seguito interventi ufficiali, comunicati stampa, esternazioni varie e soprattutto avere visto il “documentario” di Roberto Olla sulle “foibe”, trasmesso dalla Rai la sera del 10 febbraio (e, da quanto si legge nel sito http://www.bellariafilmfestival.org/evento-2011-144.html “in proiezione permanente” presso il Museo della “foiba” di Basovizza), ho pensato che sarebbe il caso di cambiare l’intitolazione della ricorrenza del 10 febbraio da “Giorno del Ricordo” a “Giorno della Mistificazione Storica”.

 

Vorrei citare solo alcuni dei punti più significativi.

Il sindaco di Trieste Roberto Cosolini (centrosinistra) ha ripreso le (purtroppo infelici) posizioni del presidente Napolitano che aveva parlato, già anni fa, di “volontà espansionistica del nazionalismo jugoslavo”.

Parlare di “nazionalismo jugoslavo” è già di per se stesso falsificante, dato che il concetto di Jugoslavia era nato come concetto sovranazionale e non nazionalista, ma il fatto più grave è il voler attribuire alla Jugoslavia una “volontà espansionistica” che essa non ha mai avuto, né quando, Regno di Jugoslavia, fu invasa da Germania e Italia, smembrata ed annessa in parte ai due stati aggressori, né quando, riconosciuta come Stato alleato nella coalizione antinazifascista, sotto la guida del Maresciallo Tito, liberò il proprio territorio dagli occupatori e giunse fino a Trieste e Gorizia. Per liberarle, non per “occuparle”, come recita il filmato di Olla, perché la Jugoslavia faceva parte della coalizione alleata (e ricordiamo che l’Italia, il Regno del Sud, era solo cobelligerante).

Nessuno parla mai della volontà espansionistica italiana, che nel 1918 aveva conquistato militarmente Trieste, Gorizia, l’Istria e parte della Slovenia (dove nella zona di Postumia non c’era neppure una piccola comunità italiana, ciononostante divenne parte integrante dello stato italiano): dunque perché scandalizzarsi quando la Jugoslavia, dopo avere conquistato militarmente dei territori interamente sloveni e croati o mistilingue, ha mantenuto la sovranità neppure su tutti questi territori misti, restituendo Trieste e Gorizia all’Italia?

È poi scandaloso che si continui a parlare di “migliaia” di persone “inghiottite dalle foibe”, quando si sa che dalle foibe istriane dopo l’8 settembre del 1943 furono estratte 210 salme, e che nel 1945 gli “infoibati” nel senso letterale del termine furono meno di un centinaio mentre la maggior parte degli scomparsi (da Trieste meno di 500, da Gorizia circa 550, da Fiume circa 350), escludendo i militari fatti prigionieri e morti nei campi, furono arrestati dalle autorità jugoslave perché accusati di crimini di guerra, e probabilmente condannati a morte, se non morti in prigionia.

Particolarmente grave ed agghiacciante l’affermazione fatta (l’Ansa non dice da chi) nel corso della presentazione di una mostra dedicata alle “foibe e all’esodo” a Trieste, dove si sarebbe “sottolineato il ruolo che svolse personalmente il maresciallo Tito nell’organizzazione delle attività terroristiche contro la popolazione inerme, culminate nelle Foibe, che sono state determinanti nel costringere all’esodo 350 mila italiani”. Come se Tito, nel corso della guerra, non avesse altre gatte da pelare che prendersela con gli istriani di etnia italiana.

Ma qui troviamo la novità di quest’anno: dopo anni ed anni di divulgazione di dati storici risultanti dalle ricerche di un manipolo di volonterosi (spesso non considerati dalla storiografia ufficiale), che hanno messo dei punti fermi su alcuni “miti” in tema di foibe, da quest’anno i toni sono cambiati: dando per assodato un “esodo” di 350.000 persone, è logico che per motivare un esodo di questa entità era necessario un fattore a monte, e cioè il “terrore” diffuso dalle “foibe”.

Il primo punto è che ad esodare non furono 350.000 persone, ma molte di meno. I dati più attendibili parlano di circa 200.000, il che è comunque una cifra piuttosto consistente, ma se consideriamo che questo “esodo” durò dal 1943 al 1960 più o meno (quindi in fasi storiche diverse), ci si aprono altri orizzonti di dubbio.

Ad esempio: perché la famiglia di Norma Cossetto, che era stata uccisa dai partigiani, scappò in Italia (RSI) quando l’Istria era sotto controllo nazifascista e non jugoslavo, e come i Cossetto anche i Cernecca, altra famiglia che nel dopoguerra diede vita alla propaganda sulle foibe, avendo avuto dei familiari uccisi dai partigiani, si trasferirono nel Veneto già alla fine del 1943?

Nel 1945, subito alla fine della guerra lasciarono l’Istria alcune categorie di persone che sicuramente non potevano rimanere lì date le circostanze, e non solo la nomenklatura fascista, gli squadristi ed i gerarchi, ma gli stessi impiegati statali, poliziotti, militari, che erano arrivati in Istria dall’Italia e una volta cambiato stato e governo avrebbero avuto difficoltà a reinserirsi.

Questo il primo “esodo”: ma dobbiamo poi ricordare la propaganda che veniva fatta dall’Italia per invitare gli italiani a lasciare la Jugoslavia, che prometteva loro mari e monti, salvo poi sistemarli nei campi profughi di fortuna. Molti istriani vennero via per amore di patria, perché non volevano essere cittadini jugoslavi, molti perché erano anticomunisti, la maggior parte perché erano convinti che in Italia sarebbero stati meglio. Le foibe in tutto questo c’entrano poco: c’entra molto invece la propaganda sulle foibe, quella che fa dire a Licia Cossetto “mezza Istria è stata infoibata”: e dalla mezza Istria rimasta sarebbero venuti via ancora 350.000 abitanti? Se consideriamo che i dati del censimento del 1936 danno come abitanti (compresi sloveni e croati) per Istria, Fiume, isole del Quarnero e Zara 378.000 persone, i conti non tornano proprio.

Lasciando da parte l’esodo torniamo ad esaminare la propaganda di questi giorni, che ci presenta i “titini” come feroci criminali assetati di sangue, che non considera che il periodo storico di cui si parla corrisponde ad una guerra mondiale che fece milioni di morti, che la guerra non fu iniziata dalla Jugoslavia, che l’Italia deportò popolazioni intere dai territori che aveva occupato in Slovenia e Croazia, che appoggiò il regime fantoccio di Pavelic in Croazia (che operò una pulizia etnica nei confronti della popolazione serba), che l’Italia stessa commise in Jugoslavia (ma anche in Grecia e in Albania, per non parlare delle precedenti guerre d’Africa) crimini di guerra per cui fu denunciata alle Nazioni unite ma nessun responsabile fu mai punito, anzi, il gasatore di africani Pietro Badoglio fu colui che traghettò l’Italia fino alla fine della guerra dopo che il “duce” fu deposto il 25 luglio 1943.

È questa la storia che non è conosciuta nel nostro Paese dall’opinione pubblica, né viene insegnata nelle scuole, e sulla quale gli storici accademici , così come i divulgatori (salvo alcune ammirevoli eccezioni) tendono a glissare. È per cancellare questa storia, per impedire che criminali di guerra fossero processati e condannati che il Ministero degli Affari Esteri (MAE) diede alle stampe nel 1947, in prossimità della firma del Trattato di pace, una sorta di “libro bianco” intitolato “Trattamento degli italiani da parte jugoslava dopo l’8 settembre 1943”, che voleva dimostrare come gli jugoslavi avessero operato violenze ed esecuzioni sommarie (le “foibe”) sui militari prigionieri e sui civili italiani. Peccato che questo testo è ricco di “bufale” e di scritti apocrifi, ricordiamo la famosa “relazione Chelleri”, quella su cui si sarebbero basati tutti gli storici per parlare degli “infoibamenti” di Basovizza e del “sopravvissuto alle foibe”, quello che i telespettatori sanno essere Graziano Udovisi, il quale asserisce anche di avere “salvato un italiano”, ma che da altri documenti risulta essere invece Giovanni Radeticchio, il quale aveva dichiarato, già nel luglio del 1945, di essersi salvato da un “infoibamento” nel quale invece aveva trovato la morte Udovisi (su questo si veda il testo di Pol Vice “La foiba dei miracoli”, Kappa Vu 2008). A domanda dello storico Spazzali, il capitano Carlo Chelleri ha negato di avere scritto questa relazione (R. Spazzali, “Foibe un dibattito ancora aperto”, Lega Nazionale 1990): quale attendibilità può avere? Poi nel testo c’è anche una testimonianza attribuita ad un “sottocapo meccanico” di nome Federico Vincenti, che parla di atrocità commesse dagli Jugoslavi nei confronti dei prigionieri italiani a Lissa: dove Federico Vincenti, partigiano combattente friulano, negò di essere mai stato prigioniero degli Jugoslavi e di avere fatto le dichiarazioni citate nel “libro bianco” (su questo si veda l’intervento di Luciano Marcolin dell’Anpi di Cividale in http://www.storiastoriepn.it/blog/?p=3617).

Ed infine in questo “libro bianco” troviamo una serie di fotografie che documentano atti di violenza commessi contro serbi… da parte ustascia, cioè fascista, spacciati per “violenza jugoslava contro jugoslavi”, eliminando del tutto la questione politica ma esacerbando la questione etnica.

Perché mi sono dilungata tanto su questo libro? Perché è stato ripubblicato nel 2009, anastaticamente, e perché la Regione Lazio lo vuole diffondere nelle scuole. E la diffusione di falsità negli istituti scolastici è uno scandalo che si dovrebbe impedire.

Ecco, queste alcune riflessioni “a caldo” (nonostante le temperature polari di questi giorni di febbraio) sul Giorno del Ricordo 2012. Nella prima edizione del mio studio sulle foibe, “Operazione foibe a Trieste” pubblicato nel 1997, citavo in apertura alcuni versi di una canzone degli Africa Unite: “Ruggine, penna di velluto, lecca il livido inchiostro, fango rapido, colpire la memoria, riscrivere la storia…”.

Lo hanno fatto, lo stanno facendo. È come un fiume in piena, melmoso, velenoso, che ci sta soffocando. E nonostante tutti gli sforzi di questi anni, sembra sempre più difficile correre ai ripari.

Claudia CERNIGOI

 

Febbraio 2012

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