LE PERLE NERE DI RUSTIA SULLE FOIBE E SUI CRIMINI DI GUERRA ITALIANI.

Sabato 11 febbraio 2012 a Trieste, presso il Museo della civiltà istriana, fiumana e dalmata (finanziato con fondi pubblici), il dottore in biologia Giorgio Rustia ha fatto due brevi interventi che secondo lui e secondo chi lo aveva invitato (il Comitato 10 febbraio di Trieste, rappresentato da Daniele Mosetti), ma anche secondo chi lo ospitava, cioè il Museo stesso, rappresentato da Piero Del Bello, avrebbero dovuto essere di inquadramento storico. In realtà il sedicente ricercatore storico (che già in altre occasioni ha avuto modo di toppare in modo clamoroso) ha fatto delle affermazioni che di storico non hanno nulla, vediamole in breve.

Rustia ha sostenuto in sintesi che la guerra in Jugoslavia fu combattuta non da un esercito ma da partigiani, che come tali venivano considerati “franchi tiratori” e “terroristi” dall’esercito regolare e come tali le leggi di guerra dell’epoca autorizzavano a metterli al muro senza processo, e che (testuale) “quando vi dicono che il nostro esercito ha commesso crimini in Jugoslavia rispondete che il nostro esercito ha applicato le leggi di guerra dell’epoca e nessuno potrà smentirvi”.

Senza approfondire l’argomento (che richiederebbe decine di pagine), va detto che Rustia non ha tenuto conto di alcuni “piccoli” particolari:

1) l’Italia e la Germania avevano invaso la Jugoslavia senza dichiarazione di guerra;

2) di conseguenza erano un esercito invasore e non “regolare”;

3) la convenzione di Ginevra del 1929 considerava parificati a soldati regolari i volontari che si riconoscevano in un comando unico ed erano distinguibili da un simbolo o una divisa (cosa che i partigiani jugoslavi erano, in quanto si costituirono quasi subito come Esercito popolare di liberazione, riconosciuto dagli Alleati);

4) che nessuna legge di guerra prevede l’incendio ed il saccheggio dei villaggi, la deportazione ed il massacro di civili, bambini compresi: ricordiamo i campi di Arbe e di Gonars dove morirono di freddo e di fame centinaia di civili e lo sconcio delle affermazioni del generale Gambara che scrisse di suo pugno “Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo”.

Rustia ha poi detto che lo storico Del Boca, che ora è di sinistra, a suo tempo firmò l’appello degli intellettuali contro gli ebrei: considerando che Angelo Del Boca è nato nel 1925, a meno che non fosse un ragazzo precocissimo la cosa risulta quantomeno improbabile.

Relativamente al numero degli “infoibati”, Rustia ha poi citato un documento di richiesta notizie di “deportati” dagli jugoslavi redatto nel dicembre del 1945 ed inviato al Pubblico accusatore di Trieste, per un totale di 939 persone. Vediamo già qui che se a dicembre 1945 mancavano all’appello 939 persone, non si può parlare di “migliaia di infoibati” (come in altre sedi Rustia fa), considerando che in questo elenco non sono compresi solo triestini ma anche goriziani ed istriani. L’intestazione di questo documento (che è conservato presso l’archivio dell’Ozna di Lubiana, AS 1584 zks ae 459) riporta questo chiarimento:

“L’elenco del Comitato è formato di 939 nomi, molti di meno quindi di quanti parla la propaganda avversaria. Di questi inoltre alcuni sono stati giudicati dalla Corte Straordinaria d’Assise, altri si trovano in libertà a Trieste o in altri posti, altri, infine, sono Partigiani Giuliani di cui le famiglie chiedono notizie. Da mettere in rilievo il fatto che molti nominativi risultano essere stati arrestati o fatti prigionieri durante azioni belliche e altri spariti durante ancora la dominazione tedesca e la cui sparizione dovrebbe imputarsi alle forze armate tedesche e non a quelle jugoslave”.

Naturalmente Rustia non ha citato questa introduzione, ed ha poi affermato che a questo elenco sarebbe stata data risposta solo per 138 nominativi, in quanto per gli altri erano in corso verifiche, attribuendo il motivo al fatto che i prigionieri non erano stati registrati. In realtà, leggendo i documenti collegati a quello da lui citato, risultano anche altre risposte per i nominativi residuali, e del resto, se una persona non era stata arrestata dalle autorità jugoslave, ben difficilmente poteva risultare dai registri carcerari.

Va infine considerato che molti dei nominativi che appaiono in questo elenco sono di persone che furono rilasciate nei mesi successivi, e che, da risultanze anagrafiche mai smentite (pubblicate nel mio “Operazione foibe tra storia e mito” Kappa Vu 2005) risultano scomparse da Trieste meno di 500 persone.

In conclusione Rustia ha sostenuto che “lo sloveno” non si è “mai messo l’anima in pace” di non poter occupare territori italiani, infatti (testuale) “con la famosa storia della lotta contro il fascismo in realtà contrabbanderanno anche nel futuro di voler arrivare male che vada per loro all’Isonzo”.

Ora, possiamo anche considerare Rustia un “caso umano” (ricorderemo sempre la sua teoria su come la legge di tutela per la minoranza slovena avrebbe “slavizzato” Trieste, esposta in una conferenza pubblica il 12/12/98: in seguito alla legge di tutela a Trieste ci sarà bisogno di circa 250/300 interpreti che dovranno giocoforza venire qui da oltre confine perché “a Trieste non ci sono sloveni disoccupati”; questi interpreti si porteranno dietro la propria famiglia (“moglie, due figli, genitori, fratelli”), cosicché in men che non si dica a Trieste ci saranno un migliaio di sloveni in più, dal che nascerà un ulteriore bisogno di interpreti, che dovranno nuovamente venire “importati” da oltre confine e via di seguito, si svilupperà una “catena di Sant’Antonio” per cui Trieste si riempirà di sloveni e gli italiani saranno costretti ad emigrare), ma se si limitasse a parlare in occasioni come quella citata, alla quale hanno partecipato meno di cento persone, non sarebbe un grosso problema. Il fatto è che Rustia dovrebbe andare a propagare queste sue posizioni antistoriche e razziste nelle scuole, da quanto è stato detto nel corso dell’incontro, e questo ci sembra gravissimo.

Ci chiediamo pertanto se vi sia qualche istituto preposto a vigilare su chi si reca a parlare nelle scuole e se vengano fatte delle verifiche per evitare che il primo sedicente storico, che in realtà fa propaganda politica e xenofoba, possa diffondere falsità di questo livello agli studenti.

Claudia CERNIGOI

 

 

 

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