HA SENSO PARLARE DI “FENOMENO DELLE FOIBE”?

Iniziamo da come l’accezione degli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali (che sembra avere ormai fatto scuola) definisce il concetto di “foibe” e di “infoibati”: “quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale” (in “Foibe”, Mondadori 2003).

Ma una volta fatta quella che viene definita (spesso con tono di condanna, quasi fosse semplicemente un’offesa nei confronti dei morti e non un’azione necessaria per la ricostruzione storica) la “contabilità dei morti”, si comprende come non possono essere sbrigativamente accomunate nel termine “violenze di massa” le “migliaia di vittime” cui fanno riferimento Pupo e Spazzali.

Non si possono accomunare tra loro le vittime della rivolta del settembre 1943 in Istria, i militari (o i civili collaborazionisti) uccisi dai partigiani o dall’Esercito jugoslavo nel corso del conflitto, i militari internati nei campi e morti di tifo (va aggiunto che militari italiani furono internati anche dagli angloamericani, ed anche in questi campi molti prigionieri persero la vita, però non si parla delle “violenze di massa” fatte dagli angloamericani nei confronti degli italiani), gli arrestati per crimini di guerra e condannati a morte dai tribunali jugoslavi, le vittime di vendette personali del dopoguerra. Vendette personale che peraltro nelle zone controllate dagli Jugoslavi rappresentarono un fenomeno minore che non nelle altre zone del Nord Italia controllate dagli angloamericani.Inoltre ancora oggi si parla di arrestati e poi rilasciati che “vengono fatti figurare come scomparsi”, e nella categoria degli infoibati in senso letterale (e non simbolico) va anche distinta la vicenda dei 18 “infoibati” nell’abisso Plutone, che furono uccisi non da partigiani ma da un gruppo di criminali comuni che si infiltrarono nella Difesa popolare a Trieste al momento dell’insurrezione di fine aprile ‘45 e si diedero a ruberie, violenze ed omicidi, non sappiamo se per criminalità pura e semplice o per provocazione. I responsabili di questi delitti furono scoperti ed arrestati dalle stesse autorità jugoslave, condotti a Lubiana, processati e condannati; due di essi furono uccisi durante un tentativo di fuga ed infatti, tra gli elenchi di “vittime degli Jugoslavi” troviamo spesso anche i nomi di alcuni di costoro.

Parlare quindi di “violenze di massa” in riferimento a tutto questo è quantomeno riduttivo: in fin dei conti stiamo parlando di un periodo di guerra, dove la violenza, di massa o no, rappresentava la regola e non l’eccezione. A mio parere, inoltre, il criterio unificante esposto da Pupo e Spazzali non solo non ha nulla di scientifico, ma consente anche a chi non ha intenzione di determinare quanto realmente accaduto ma ha come scopo la mera continuazione della montatura creata da decenni di propaganda nazionalista, irredentista e post-fascista, di procedere in questo suo fine di deformazione della realtà.

Sarebbe invece il caso di chiarire una volta per tutte che non ha senso parlare di un “fenomeno delle foibe” quando in realtà si tratta di una serie di fenomeni del tutto distinti tra loro e che hanno come elemento accomunante semplicemente il fatto che si sono svolti nel corso o in conseguenza della Seconda guerra mondiale.

Clauda Cernigoi, 4 febbraio 2021

da La Nuova Alabarda ELCDD

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