MARCELLO SPACCINI, AGENTE DEL SIM

MARCELLO SPACCINI, AGENTE DEL SIM.

Marcello Spaccini, sindaco democristiano di Trieste negli anni 70, è stato recentemente ricordato a Trieste in un convegno cui hanno partecipato storici ed esponenti politici, convegno probabilmente propedeutico (stando al fatto che successivamente sulla stampa locale si sono succeduti alcuni interventi in merito) ad un riconoscimento pubblico della sua figura (un monumento o l’intitolazione di una via).

Nel corso del convegno sopra citato (svoltosi l’8 ottobre scorso) sia il giornalista Guido Botteri (che di Spaccini ha ricordato il ruolo avuto nella Resistenza), sia lo storico Roberto Spazzali (che ha trattato dell’attività dell’esponente democristiano nel periodo in cui Trieste era amministrata da un Governo militare alleato), hanno evidenziato il fatto che Spaccini non ha lasciato detto o scritto granché del suo operato nei periodi da loro descritti.

In effetti, la ricostruzione da parte dei due relatori dell’attività politica di Spaccini nel decennio 1943-1954, non ha considerato un particolare fondamentale: il fatto che il futuro sindaco nel 1945 avesse lavorato per il Servizio Informazioni Militari (SIM) badogliano, e più specificamente, fosse stato assunto, sia pure temporaneamente, nella Sezione Calderini, la branca “offensiva” del ricostituito servizio segreto militare (buona parte degli ufficiali che avevano prestato servizio nella Calderini diedero poi vita alla struttura Gladio). Leggiamo infatti nella sentenza ordinanza redatta dal dottor Carlo Mastelloni, giudice istruttore nel processo su Argo 16 (Sentenza ordinanza n. 318/87 A. G.I., Procura di Venezia, d’ora in poi Argo 16) che alla fine degli anni ’40 l’attività di Spaccini era “tenuta in notevole considerazione dall’Ufficio Zone di Confine” (dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri), in quanto era stato “impiegato quale agente collaboratore, con compiti d’informatore, da parte di una missione operativa della Sezione Calderini del SIM attiva all’epoca della lotta di Liberazione e “fu anche munito, per interessamento della Presidenza del Consiglio”, di “un’autovettura di supporto alla sua attività”, dal SIM attraverso il C.S. di Venezia (Argo 16, p. 1.870).

Facciamo ora un passo indietro per tracciare la biografia dell’ingegner Marcello Spaccini, che dal Lazio era giunto a Trieste come dirigente delle Ferrovie. Quanto segue è tratto da “l’Italia chiamò” di Roberto Spazzali, Leg 2004, dal capitolo “La liberazione di don Marzari” dello stesso Spaccini ne “I cattolici triestini nella Resistenza, Del Bianco 1960 e da altri documenti che citeremo di volta in volta.

Secondo i suoi biografi Spaccini sarebbe stato l’animatore della Brigata Ferrovieri del non ancora costituito Corpo volontari della libertà subito dopo l’8 settembre 1943 (ma, da quanto ci consta, i ferrovieri antifascisti si erano organizzati per sabotaggi ed attentati alle linee ferroviarie in collaborazione con l’Osvobodilna Fronta, il Fronte di Liberazione da prima che Spaccini si attivasse). Va detto per inciso che il comandante della Ferrovieri al momento dell’insurrezione di Trieste fu Antonino Cella, che compare nell’elenco “ufficiale” dei “gladiatori” reso noto da Andreotti nel 1991, assieme ad altri dirigenti del CVL triestino, Giuliano Dell’Antonio, Ernesto Carra, Vasco Guardiani.

In ogni caso Spaccini fu ufficiale di collegamento con la Divisione Osoppo friulana, e nel febbraio del 1945 subentrò, quale rappresentante democristiano all’interno del CLN giuliano, a Paolo Reti (arrestato e rinchiuso a San Sabba, dove fu ucciso nell’aprile successivo). Fu poi artefice della fusione tra la Brigata Ferrovieri e la Brigata Venezia Giulia, che formarono la Divisione Rossetti, collegata alla Osoppo, e comandata da Carra (nome di battaglia Monti).

Spaccini fu autore del noto colpo di mano che portò alla liberazione dal carcere del Coroneo del presidente del CLN, il sacerdote Edoardo Marzari che era stato tratto in arresto l’8 febbraio precedente, pochi giorni prima di Reti, azione che narrerà egli stesso nel citato capitolo “La liberazione di don Marzari” (“I cattolici, cit, p. 134 e seguenti). La sera del 29/4/45 si recò, con “quattro gatti” alla sede dell’Ispettorato Speciale di via Cologna (il famigerato corpo di polizia collaborazionista di cui faceva parte la Squadra speciale diretta dal commissario torturatore Gaetano Collotti) e prese possesso della struttura assieme al commissario Ottorino Palumbo Vargas, dirigente della Polizia ferroviaria (ma risulta anche in forza alla Brigata Timavo del CVL), che il CLN nominò questore di Trieste al momento dell’insurrezione. I due chiesero di parlare con i funzionari rimasti in sede (Collotti era scappato due giorni prima assieme ad alcuni membri della sua squadra, ed era stato catturato e giustiziato da partigiani trevigiani) Gustavo Scocchera (funzionario medico) e Mariano Perris (dirigente la squadra giudiziaria), il quale affermò nel corso del processo contro il dirigente dell’ispettorato (l’ispettore generale Giuseppe Gueli) che “la squadra giudiziaria nulla ha a che vedere con la squadra politica”; ma va detto che un altro testimone affermò che la macchina per la tortura elettrica “passava qualche volta” anche nell’ufficio di Perris (le citazioni sono tratte dal Carteggio processuale Gueli, in archivio Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste n. 914). Nel corso dell’occupazione della sede dell’Ispettorato Spaccini e Palumbo Vargas presero in consegna le armi e l’archivio, disarmarono tutti gli agenti tranne quelli dipendenti dalla squadra giudiziaria (che probabilmente parteciparono poi all’insurrezione assieme agli armati del CVL) e poi Spaccini e Perris andarono al Coroneo a liberare don Marzari.

Mariano Perris non fu epurato perché il CVL triestino lo inserì tra i propri collaboratori  e nel dopoguerra proseguì la carriera in polizia: diresse la Squadra politica a Milano e a Torino (il suo nome comparve nell’elenco dei funzionari di PS pagati da Agnelli per controllare i “politici” all’interno della fabbrica); fu questore di Pisa nel 1972, quando agenti di polizia picchiarono a morte un ragazzo di vent’anni, Franco Serantini, durante una manifestazione antifascista.

Tra i documenti raccolti da Mastelloni (Argo 16, p. 1.725, 1726) troviamo i ringraziamenti a Spaccini da parte del “vice capo ufficio” dello SMRE, per “la volontaria, disinteressata collaborazione che Ella ha voluto offrire” ad una missione del SIM composta, tra gli altri, dal capitano Giuliano Girardelli, dal tenente dei Carabinieri Armando Lauri (che negli anni ‘60 fu comandante del Centro di controspionaggio di Milano e risulta al n. 588 dell’elenco degli aderenti alla Loggia P2), dal colonnello del Genio Mario Ponzo e dal capo furiere della Marina Arturo Bergera (questi ultimi due furono arrestati dagli Jugoslavi assieme all’emissario del SIM Luigi Podestà nel maggio ‘45, perché si erano appropriati della cassa del comando Marina).

Ponzo risulta ufficialmente scomparso dopo l’arresto (Bergera e Podestà rientrarono a Trieste nel 1947), ma sempre in Argo 16 leggiamo che Armando Lauri “nell’estate del 1945 fungeva da collaboratore della sezione Calderini del SIM unitamente al colonnello Genio navale Ponzo Mario” (p. 204), come se Ponzo nell’estate del 1945 fosse vivo e a piede libero.

Torniamo a Spaccini che il 7/5/45 partì clandestinamente a bordo di un furgone funebre della “Legnano”, con una delegazione (composta da don Marzari, dagli azionisti Isidoro Marass e Giovanni Paladin ed all’indipendente Antonio de Berti, successivamente “organizzatore dell’esodo da Pola”) che si recò dapprima a Venezia (per incontri con i servizi di informazione italiani, con ufficiali angloamericani e con il CLN del Veneto, assieme al quale fu costituito il Comitato giuliano di Venezia, in Argo 16, p. 1.725, 1.726) e poi a Roma. Qui la delegazione fu ricevuta dal Presidente del consiglio Bonomi e da altri ministri, ma dei risultati dei colloqui di Spaccini a Roma parleremo più avanti. Il 12/6/45 la 2^ Sezione dell’Ufficio Informazioni dello SMRE (cioè la Calderini) richiese al Quartier generale dell’aeronautica alleata un trasporto aereo da Roma a Milano per Spaccini, “in servizio temporaneo per la 2^ Sezione”, motivando come “rientro per ultimata “missione” (In Archivio Ufficio Stato Maggiore Esercito, busta 314 n. 179163).

Spaccini risulta tra i firmatari di una lettera, pubblicata l’1/8/45 su “Libera Stampa” ed indirizzata alle autorità alleate, assieme ad altri “componenti del CLN in rappresentanza di tutti i partiti antifascisti: prof. Savio Fonda, Ercole Miani, Spaccini, prof. Paladin, Michele Miani, prof. Schiffrer e dott. Bartoli”, nella quale si denunciava che “nelle giornate del 2-3-4-5- maggio numerose centinaia di cittadini vennero trasportati nel cosiddetto Pozzo della miniera in località prossima a Basovizza e fatti precipitare nell’abisso profondo circa 240 metri”, lettera che chiudeva chiedendo al comando Interalleato di provvedere al recupero delle salme. Alcuni giorni dopo, però, tre dei componenti del CLN (Ercole e Michele Miani e Carlo Schiffrer) scrissero negando l’autenticità della loro firma sul documento.

Dunque Spaccini fu tra i membri del CLN giuliano che diedero il via alla creazione della mistificazione sulla foiba di Basovizza (coinvolgendo anche altre personalità estranee alla manovra) comunicando notizie false alle autorità alleate, che, dopo avere proceduto alle ispezioni per diversi mesi, nel febbraio 1946 ordinarono la sospensione delle ricerche perché non avevano trovato alcun resto umano, ma con l’indicazione di addurre motivi tecnici per questa sospensione, dato che non si doveva smentire quanto asserito dal CLN (in Archivio NARA Washington, anche in Pokrajini arhiv Koper, ae 648).

Nel suo intervento dell’8/10 Spazzali spiega l’oggetto dei colloqui di Spaccini con l’allora ministro degli Esteri Alcide De Gasperi: egli ottenne l’autorizzazione ed i finanziamenti per un’emittente radiofonica “clandestina” che avrebbe trasmesso da Venezia verso Trieste diffondendo notizie diverse da quelle ufficiali e, così chiosa Spazzali, “siamo nell’ambito di una guerra di propaganda e di un agguerrito fronte contro il comunismo jugoslavo, mentre i comunisti italiani erano ancora al governo, che sembrano anticipare i futuri scenari della guerra fredda”.

La sicurezza dell’emittente, il cui trasmettitore fu sistemato in una struttura della Marina militare fu garantita dall’allora Capo di stato maggiore della marina, Raffele De Courten.

Tale emittente perse importanza, spiega Spazzali, dopo la firma del trattato di pace del 10/2/47, così Spaccini ricevette dei finanziamenti per un’altra iniziativa, l’agenzia giornalistica Astra, da lui diretta (strano ruolo per un ingegnere), dove per i servizi economici il dirigente era il Giuliano Dell’Antonio precedentemente citato. L’Astra fu immediatamente finanziata con un importo di 40 milioni di lire (altri 25 furono stanziati per l’ammodernamento dell’emittente radiofonica, e Spazzali afferma che in totale il costo dell’Astra fu di 128 milioni e 800mila lire fino al giugno 1949; in Argo 16 risulta che la Presidenza del Consiglio tramite l’Ufficio per le Zone di Confine erogò, tra il 1948 ed il 1949, rispettivamente 33 e 27 milioni di lire a Spaccini ed alla Astra.

Non possiamo fare a meno di considerare l’entità di questa spesa in anni in cui l’Italia era ancora economicamente in ginocchio.

Spazzali descrive l’Agenzia Astra, che aveva a disposizione mezzi tecnici all’avanguardia, traduttori da una decina di lingue, collegamenti giornalieri con agenzie di stampa statunitensi e britanniche e la possibilità di rinviare il notiziario della Press Wireless di New York; fu pertanto vista come punto di riferimento per l’informazione di tutto il sud est europeo all’epoca in cui operò. Spazzali aggiunge che lo scopo di questa operazione non sarebbe stato il “solo fatto di sostenere la causa italiana sul confine orientale l’indomani del Trattato di pace”, ma anche “l’imminente appuntamento con le elezioni politiche italiane previste il 18 aprile 1948”, in quanto si “profilava uno scontro politico tra i partiti democratici occidentali e quelle del blocco social comunista”. Ed ancora che era essenziale per il governo italiano avere un’agenzia di stampa fuori dalla sovranità temporanea che avrebbe potuto operare l’informazione in situazione di stay behind (cioè oltre le linee “nemiche”), ma dopo il 1950 non furono più necessarie le funzioni dell’agenzia né della radio, il cui scopo era l’italianità di Trieste, prima da difendere contro lo jugoslavismo, poi contro il comunismo e poi contro l’indipendentismo. Infine Spazzali ci spiega che il referente diretto di Spaccini era Giulio Andreotti.

Il dottor Mastelloni, da parte sua, ipotizza una “funzione di copertura” dell’Astra per i finanziamenti versati dalla Presidenza del Consiglio “per conto della quale l’ingegnere fungeva da elemento operativo nella città di Trieste” (Argo 16, p. 1.875) ed in quanto “impiegato come elemento di riferimento per le attività dell’Ufficio Zone di Confine nella Venezia Giulia quale organizzatore colà delle strutture clandestine anticomuniste (Argo 16, p. 1.725). Vediamo alcune testimonianze raccolte dal magistrato.

Diego de Castro, rappresentante diplomatico italiano a Trieste sotto il GMA, dichiarò di essere stato “avvicinato da un gruppo di persone aderenti ai vari partiti politici”, e fa il nome del comunista Vidali, dei democristiani Spaccini e Redento Romano, e del liberale Forti che “in relazione all’addensarsi sulla linea di confine di truppe dell’Esercito jugoslavo che minacciavano di occupare Trieste, mi rappresentarono l’opportunità di armare un gruppo di uomini controllati dai citati esponenti dei partiti al fine di difendere la città qualora si fosse verificata l’invasione” (Argo 16, p. 1.871).

Renzo Di Ragogna, che partecipò alle esercitazioni delle squadre armate a Trieste negli anni del GMA (denominate Gruppi di difesa triestini), testimoniò di essere stato avvicinato da Ernesto Carra nel 1947 per “riunioni nelle quali venivano istruiti all’uso di armi e sulle tecniche di guerriglia”, mentre nel 1953 Carra lo “informava che bisognava creare vari depositi di armamento, bene celati e nascosti da impiegarsi in caso di necessità dettata dall’invasione di Trieste da parte delle truppe jugoslave”, così Di Ragogna si occupò di costruire 6 nascondigli (Argo 16, p. 1.859).

Nell’estate del 1954 fu rinvenuto in un locale della Stazione centrale di Trieste un deposito di armi e “come si rileva dal rapporto della Polizia Civile di Trieste lo Spaccini fu immediatamente sospettato come intraneo alla vicenda del deposito stesso” (Argo 16, p. 1.875), in quanto impiegato alle Ferrovie. E Galliano Fogar così rese testimonianza a Mastelloni: “Ritengo che competente per quella zona della città fosse l’ing. Marcello Spaccini che faceva parte dell’Organizzazione” (Argo 16, p. 1.866).

Infine un cenno a Renzo Apollonio, in forza al SIM tra il 1945 ed il 1946 (negli elenchi della P2 consegnati nel 1976 alla magistratura) il quale ha dichiarato che il suo incarico all’Ufficio Stampa del Ministero era una copertura in quanto in realtà si occupava “del problema della Venezia Giulia con incarico di sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sul problema del territorio libero” (Argo 16, p. 1.859).

Questa in brevissima sintesi la struttura alla quale collaborò Spaccini fino al 1954. Il resto è un’altra storia.

Claudia CERNIGOI

ottobre 2012

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